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© Umberto E. |
"La Televisione diede un linguaggio ai poveri, la lingua nazionale italiana. Può darsi che la parlassero con i tic di Mike Bongiorno ma comunque la impararono. La classe colta, i 'ricchi' dico per ironia, magari invece abbandonarono la lettura di Marcel Proust e de "La ricerca del tempo perduto", per quiz e varietà. L'esatto contrario con il Web. I 'poveri', chi non ha gli strumento di cultura del nuovo sapere, rischia di perdersi nell'oceano di informazioni della Rete, finendo nei siti dei complottisti, dei populisti. Non imparano nuove informazioni, ma si intossicano di menzogne. (...) La nostra identità è cosmopolita. In politica perché ogni castello chiamava lo straniero ad allearsi contro il castello contiguo. E in cultura perché la capacità "globale" dei nostri classici ha fatto loro perdere italianità. I francesi tendono ad annetterli, considerano francesi Leonardo e Modigliani, gli spagnoli apprezzano un italiano come cugino, gli inglesi e i tedeschi guardano ai valori umanistici, come se Dante fosse compatriota di Shakespeare e Goethe o Machiavelli di Hegel. Se l'italiano è, e resta, esterofilo, gli stranieri tendono ad assumerlo come un internazionale cosmopolita (...). Ce la siamo cavata per secoli. Siamo abituati a tenere duro, a creare, inventare. Il Rinascimento è invenzione. Il Boom economico degli anni Sessanta è invenzione".
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© They Are The World |
"Umberto Eco: I poveri della Tv e i ricchi del Web"
di Gianni Riotta,
pubblicato nell'inserto domenicale de IlSole24Ore
domenica 5 dicembre 2010
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