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Una delle terapie più 'giovani' è l'optogenetica.
E cos'è?
Per capirlo vi racconto una storia.
Dunque, c'è un batterio che contiene un gene chiamato Arch. Un gruppo di ricercatori di stanza al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston ha estratto il gene Arch e lo ha fatto accomodare su una navetta di trasporto adeguata, cioè un virus. Il virus - per sua natura e missione - è interessato a una sola cosa: raggiungere delle cellule e ambientarsi in esse. I ricercatori citati - guidati da Edward Boyden - hanno inserito, anzi affondato Arch nella membrana cellulare dei neuroni di una cavia, chiamiamola Pina. I neuroni così 'modificati' hanno prodotto delle proteine sensibili alla luce. Sono diventati insomma dei pannelli solari biologici. Quando la luce li colpisce i "pannelli" liberano ioni cloro e potassio, rimettendo il neurone in equilibrio elettrico. Se il neurone era già in equilibrio il lavoro di Arch non serve a un bel niente. Ma per i neuroni in stato di squilibrio (come quelli di chi soffre di epilessia), cioè per quei neuroni che producono impulsi anomali e fuori controllo, l'attività di Arch e dei pannelli solari è vitale. E potrebbe escludere l'impego di farmaci antiepilettici. "Potrebbe": l'uso del condizionale è necessario, visto che al momento il gene Arch è stato portato solo nelle cellule neuronali della cavia Pina.
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La nuova tecnologia è, appunto, l'optogenetica che consente ai ricercatori di condurre esperimenti mirati che - al momento - sono eseguiti su animali viventi (cavie, ovvero topi da laboratorio, come Pina).
L'optogenetica è ai suoi albori ma si sta rivelando come uno dei nuovi, ricchi e promettenti filoni delle neoroscienze.
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