01 Apr 2011 - Lo poteva fare anche F. Bonami

© Mr. Frank Bonami, an italian in Chicago
Francesco Bonami è direttore artistico di tre fondazioni italiane: Sandretto Re Rebaudengo (Torino), Pitti Immagine Discovery (Firenze), Centro d'Arte Contemporanea Villa Manin (Udine). Lo si vede spesso al Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, dove fa il curatore (in americano: Manilow Senior Curator - certo che gli americani sono il massimo quando si tratta di dare delle qualifiche). Accetta abbastanza volentieri anche degli incarichi one-shot, ad esempio membro dell'Advisory Board della Carnegie International nel 2004, Direttore della Biennale di Venezia nel 2003, membro del comitato scientifico della 1a Triennale di Yokohama nel 2001.
Vive negli Stati Uniti dal 1987.
Evidentemente sa ottimizzare molto bene le proprie giornate (o forse i lavori citati gli lasciano un sacco di tempo libero?), perché fa anche lo scrittore: nel 2004 ha pubblicato il romanzo "Lezioni di fumo". Non l'ho letto ma ne ho spulciato la scheda e, a dispetto del tutolo orrendo, la trama sembra molto interessante.
© Botero Fun Club
Nel 2007 è uscito - per Mondadori - il saggio "Lo potevo fare anch'io". E' un'analisi profonda e leggera dell'universo 'Arte', costituito da artisti, pseudo-artisti, galleristi, critici e poi da quelle persone che di Arte non sanno/capiscono niente di niente, ma comprano o fanno comprare opere reali o presunte tali.
Approfittando degli sconti promozionali che in questo periodo decurtano del 25% il prezzo di copertina degli Oscar Mondadori ho acquistato il suddetto saggio (settima ristampa). Contiene 33 brevi capitoli in cui il Bonami ragiona e commenta l'Arte, soprattutto Contemporanea (ma non disdegna - per chiarire meglio le questioni dibattute - di citare le pietre di Stonehenge o le opere di Goya). Ho iniziato la lettura partendo dal 26esimo capitoletto, "Artisti di confusione di massa" e poi sono passato al successivo, esilarante 27esimo cap "Epidemia di Botero", in cui mette allo scoperto il nulla obeso (molto, molto obeso e molto, molto 'nulla') che tanto sta a cuore al monotono pittore - e purtroppo pure scultore - colombiano Fernando Botero Angulo. Massì, Botero, quello che del 'disagio da pinguedine' ha fatto una ragione di vendita della propria arte, quello che disegna donne e uomini grassissimi (spesso deformi) vestiti o nudi, in città, in campagna o al mare. Spesso el Señor Fernando non si cruccia neanche di cambiare posizione alle sue creature: varia lo sfondo - ma a volte neppure quello - e il gioco è fatto.
© la coerenza di F. Botero: lo stesso soggetto in luoghi (non sempre) diversi
L'Arte è una questione di comunicazione e di espressione. E di linguaggio. Ogni Artista ha il proprio. In certi casi può essere o sembrare un linguaggio facilmente comprensibile (Andy Warhol, Roy Lichtenstein), a volte il linguaggio usato ha la forza di pugno sferrato in pieno volto (Robert Rauschenberg, Jean-Michel Basquiat), a volte il linguaggio è complesso o cripitico e quindi richiede attenzione, dedizione, devozione (Suzanna Fields, Naomie Kremer). A volte invece il linguaggio è un semplice concetto ripetuto all'infinito, come caso dei panzoni di Botero.
Non so se vi è mai capitato di incontrare persone che vivono con frustrazione la loro condizione di ignoranza (nota: per me 'ignoranza' non ha un'accezione negativa, io mi riferisco al significato, cioè il 'non sapere') e, anzichè mettersi a studiare e/o a girare il mondo per emanciparsi dall'ignoranza, cercano pezzi di cultura o pseudo-cultura che possano assimilare ovvero inglobare e, quindi, usare nelle conversazioni. Sono persone malsane, intimamente orrende, in fase di costante decomposizione spirituale. Però ci sono e può capitare di incrociarle. Ecco, le suddette persone talvolta sentono di voler dire la loro anche sul tema 'Arte'. Ma non vogliono fare fatica, non vogliono imparare, vogliono solo - appunto - dire la loro. Cosa fanno? La cosa peggiore: abbassano lo sguardo sino a individuare qualcosa che sia alla loro altezza. Per fare un esempio musicale, Keith Jarrett può essere immediato ("The Köln Concert") oppure no ("Radiance"), questa sua incostanza getta nello sconforto chi non ha tempo per arrampicarsi con lo sguardo verso lo scontroso Keith. Meglio dunque posizionare le orecchie all'altezza di un Giovanni Allevi, che (riassumento ciò che si sente dire  in giro) "non fa mica brutte sorprese, suona così bene ma così bene, lo sai che lo hanno chiamato al Blue Note - hai presente il locale di niùiorc? sì, quello - e poi, guarda, ha tanto sofferto, pensa che viveva in un monolocale e non aveva il pianoforte così suonava sul tavolo - voglio dire: sul tavolo! - e immaginava il suono del suo strumento, davvero, un genio!" ecc. Ascoltare Allevi - che è un bravo ragazzo e ha il grande pregio di farsi quasi sempre gli affari suoi - non fa male alla salute o allo spirito, ma aprire le orecchie o gli occhi significa non fermarsi a lui, significa non accontentarsi mai, significa non abituarsi a 'prendere ciò che passa il convento' (la decadente mentalità da spettatore televisivo) e andarsi a cercare altro.
Fine della digressione, torno al bel saggio scritto da Francesco Bonami
© Robert Rauschenberg
Intelligente, gustoso, ben argomentato, ironico, cattivo al punto giusto ("cattivo" per amore dell'Arte, non per invidia di questo o quell'artista) e non solo: Bonami scrive bene e comunica anche meglio. Non è possibile chiedere di più a un saggio (nel senso del libro).
Quanti complimenti. Oh be', li merita.
Nel sito ibs.it il volume è stato recensito da cinque persone che l'hanno letto. Due di esse sono entusiaste, una è molto soddisfatta, una è abbastanza soddisfatta (dice che il libro è "eccessivamente soggettivo" ma credo sia difficile non essere soggettivi quando si parla di Arti Visive e di Arti Sonore) e un'ultima persona è proprio schifata. Ognuno dice la sua.
Ne suggerisco la lettura: apre la mente, favorisce il processo di avvicinamento all'Arte Contemporanea e - che siate d'accordo o meno con quanto dice Bonomi - aiuta a discernere.

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