05 Mar 2011 - Crisi, pizza e la città che sale

E' possibile quantificare i cambiamenti portati dalla famigerata crisi (iniziata a fine 2008) che ha reso più poveri i poveri e più ricchi gli sciacalli? Sì, è possibile. Un fatto evidente è che girano meno soldi. E quelli che girano valgono sempre meno. Questo ha modificato le abitudini della (ampia) porzione di popolazione colpita dalla crisi. Vediamo un esempio: ai milanesi piace andare a mangiare fuori. Ma non è più tempo di ristoranti dove si spendono 50/70 euro a testa. Chi optava per questo tipo di locale oggi va più volentieri in pizzeria, dove mediamente  con una ventina di euro ti fai pizza + birra + dolce + caffé
La pizza: una grande invenzione
Facile da fare, piace praticamente a tutti. Per gli esercenti è una vera manna dal cielo perché consente ricarichi elevati. Al pizzaiolo fare una pizza costa tra gli 1 e i 2 euro (incluse materia prima e manodopera) e la fa pagare dai 5 ai 15 euro o più. Non so perché ma, da qualche anno a questa parte, digerisco a fatica la pizza, di qualsiasi tipo esso sia (alla napoletana, all'egiziana, alla vegana, al trancio, al ecc). Sto invecchiando e questo presuppone un inevitabile sputtanamento del sistema digestivo? Può darsi, ma non sono convinto che si tratti solo di questo. Credo che sia l'impasto ad essere di qualità inferiore rispetto al passato. E' una mia supposizione, non ho le prove. Comunque mi è passata la voglia di andare a mangiare fuori anche per un altro motivo: costa troppo. Anche la pizzeria. Ma di tanto in tanto mi concedo uno strappo alla regola.
Ieri ero con un gruppo di amiche e amici. Si stava avvicinando l'ora di pranzo. Una di loro ha proposto: "Perché non ordiniamo delle pizze takeaway e le mangiamo da me?". Abbiamo aderito con trattenuto entusiasmo. Ci siamo divisi: alcuni sono andati ad apparecchiare. Io e altri due siamo andati a prendere le pizze. L'amica che forniva lo spazio per la degustazione abita in Via Castel Morrone (MI), una rilassante via alberata che nelle giornate di fine inverno sfodera tutta la sua bellezza. Nei pressi dell'abitazione ci sono diverse pizzerie. "Dove andiamo a prendere le pizze?". "Alla Brickoven che c'è qui, al numero 7 di via Castel Morrone". Ok, andiamo lì. Al numero 7 c'è un portone di fianco al quale è stata apposta una targa commemorativa che dice: "Dal novembre 1907 per tre anni abitò questa casa Umberto Boccioni. Qui ritrasse se stesso, la madre, la gente, la città che sale". 
La città che sale? E dove va? Mah. 
Entriamo in pizzeria e tre camerieri tre (due italiani e uno - a occhio - indiano) si mettono al banco ordinazioni, dotato di moderna postazione con schermo touch per segnare gli ordini. E noi ordiniamo (tra le varie pizze ci sono 3 "Marinare" alle quali abbiamo chiesto di aggiungere le olive) e paghiamo. Il prezzo totale mi sembra più elevato del previsto. Controllo lo scontrino e scopro che le "Marinare plus olive" hanno una maggiorazione di 2,50 € cadauna. Chiedo al cameriere indiano: "Una maggiorazione di due euro e cinquanta per l'aggiunta di olive?!?". "Sìsì, prezo magiorazione". "Ma cosa?! Quattro olive me le fai pagare due euro e cinquanta? Complimenti!". Lui fa - appunto - l'indiano e guarda in un punto imprecisato sullo schermo del compiuter tacc. Esco dal locale - finemente arredato con legni mordenzati o tinteggiati di chiaro in stile "New England" - con estremo disappunto. 
Tra l'altro la pizza è sottile come pane carasau, cosa che detesto.
C'è qualcosa che non mi torna. I soldi ormai non si spendono più: evaporano. E l'unica forma di resistenza, oggi, è non usarli inutimente. Se uno ne ha pochi è facilitato. Mangiare è una necessità. Mangiare fuori casa è un lusso. Forse la crisi con cui conviviamo da anni ci sta aiutando a capire di cosa abbiamo effettivamente bisogno e cosa, invece, è superfluo. 
Non ce l'ho con "Brickoven", semplicemente non andrò più a foraggiarli (e loro manco se ne accorgeranno) in quanto per me superflui. Ed esosi.
Nel frattempo la crisi non molla e la città sale.

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