18 nov 2010 - Fare luce nel cervello di Pina

© Sotto pelle
"Il cervello è il mio secondo organo preferito" diceva Miles Monroe (interpretato da Woody Allen) ne "Il dormiglione". Oggidì il cervello di ognuno, sottoposto a stress, strapazzi o agguati continui, può trovarsi a soffrire. Per questa ragione vengono studiate continuamente nuove terapie in grado di intervenire laddove necessario. 
Una delle terapie più 'giovani' è l'optogenetica
E cos'è? 
Per capirlo vi racconto una storia.
Dunque, c'è un batterio che contiene un gene chiamato Arch. Un gruppo di ricercatori di stanza al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston ha estratto il gene Arch e lo ha fatto accomodare su una navetta di trasporto adeguata, cioè un virus. Il virus - per sua natura e missione - è interessato a una sola cosa: raggiungere delle cellule e ambientarsi in esse. I ricercatori citati - guidati da Edward Boyden - hanno inserito, anzi affondato Arch nella membrana cellulare dei neuroni di una cavia, chiamiamola Pina. I neuroni così 'modificati' hanno prodotto delle proteine sensibili alla luce. Sono diventati insomma dei pannelli solari biologici. Quando la luce li colpisce i "pannelli" liberano ioni cloro e potassio, rimettendo il neurone in equilibrio elettrico. Se il neurone era già in equilibrio il lavoro di Arch non serve a un bel niente. Ma per i neuroni in stato di squilibrio (come quelli di chi soffre di epilessia), cioè per quei neuroni che producono impulsi anomali e fuori controllo, l'attività di Arch e dei pannelli solari è vitale. E potrebbe escludere l'impego di farmaci antiepilettici. "Potrebbe": l'uso del condizionale è necessario, visto che al momento il gene Arch è stato portato solo nelle cellule neuronali della cavia Pina. 
© Listen to the music
Il numero cartaceo di "Scientific American" pubblicato nel novembre 2010 ospita un articolo intitolato "Controlling the Brain with Light" (Controllare il cervello con la luce), firmato da Karl Deisseroth, professore nelle facoltà di bioingegneria e psichiatria dell'Università di Stanford, recentemente insignito con l'International Nakasone Award per le sue attività nell'ambito della optogenetica. Deisseroth scrive: "Grazie a una tecnica chiamata optognetica i ricercatori possono comprendere in che modo funziona il cervello con un livello di dettaglio in precedenza inimmaginabile. Queste scoperte condurranno a un miglioramento dei trattamenti usati in caso di problemi psichiatrici (...) Ogni giorno faccio pratica psichiatrica e mi confronto con i miei limiti. A dispetto dei nobili sforzi di medici e ricercatori, la nostra modesta comprensione delle origini dei disagi psichiatrici impedisce la ricerca di cure appropriate e pone il marchio dell'infamia su questo enorme problema. Abbiamo bisogno di nuove risposte psichiatriche. Ma è opportuno ricordare altresì le parole del filosofo di scienza Karl Popper, che scrisse: prima di trovare le risposte è necessario formulare nuove domande. In altre parole abbiamo bisogno di nuova tecnologia". 
La nuova tecnologia è, appunto, l'optogenetica che consente ai ricercatori di condurre esperimenti mirati che - al momento - sono eseguiti su animali viventi (cavie, ovvero topi da laboratorio, come Pina). 
L'optogenetica è ai suoi albori ma si sta rivelando come uno dei nuovi, ricchi e promettenti filoni delle neoroscienze.

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